EMANUELE SEVERINO
CHIARISCE L'ARGOMENTAZIONE DI PARMENIDE
(tratto dall intervista nell'Enciclopedia Multimediale delle scienze filosofiche
- qui il
testo integrale)
Come si sviluppa l'argomentazione di Parmenide?
Secondo una prima articolazione esso suona così: se l'essere è assolutamente opposto al niente, allora la prima conseguenza è che esso è immutabile, eterno, incorruttibile, ingenerabile. Perché? Anche in questo caso, Parmenide non si limita ad affermarlo, poiché egli dice - e qui l'attenzione deve diventare massima - che se si generasse o si corrompesse, esso sarebbe stato niente e tornerebbe ad essere niente. Ma l'essere non è il niente, dunque è impossibile che sia stato niente, che torni ad essere niente; questo vuol dire che è impossibile che non sia, e dunque deve essere eterno, ingenerabile, immutabile. Si può dire che questo discorso che abbiamo esposto così alla svelta, è uno dei discorsi che devono essere messi nei tabernacoli della filosofia.
L'altra articolazione si riferisce alla
negazione del molteplice.
Che il molteplice non "è" vuol dire che il mondo così come ci sta davanti
nella sua straordinaria ricchezza, differenza di forme, colori, di luci, di
situazioni, non "è". Anche in questo caso si arriva a questa conclusione perché
è in gioco la tautologia. Vediamo come. Noi possiamo chiamare le differenze per
nome: la lampada, la telecamera, gli arredamenti della stanza, poi le stelle, il
cielo; possiamo semplificare e dire A, B, C, D chiamando con tali lettere le
varie cose del mondo. Ci dobbiamo chiedere: "A", come poi "B" e "C", significa
"essere"? Supponiamo che "A" sia il brillare delle stelle; Tentiamo di lasciar
parlare Parmenide: "Luce significa essere?". "No!". Questo "no" lo dice
Parmenide per la prima volta, ma poi lo diranno tutti gli altri e se noi
chiedessimo ad un linguista se "essere" significa luce, anche il linguista, con
tutta la sua correttezza scientifica, ci direbbe che "essere" non significa
"luce". Ma allora luce non è "essere"; ma "non essere" vuol dire "ni-ente" che
vuole dire "non-ente" - io amo sostenere questa etimologia della nostra lingua -
e allora "luce" è "non essere". Ma lo stesso discorso lo possiamo dire di tutte
le cose che ci stanno attorno che costituiscono il punto di riferimento della
nostra vita. Ognuna di queste determinazioni della vita non significa essere e
quindi è niente.
Prendiamo ora la grande tautologia che dice: "L'essere non è il niente", e a questo punto si fa innanzi la conclusione che ci riguarda - noi uomini della civiltà della tecnica - molto da vicino: dire che la luce, i colori, le cose, le case, gli uomini "sono", significa ammettere che il niente "è". Vorrei ripetere questa cosa. Le differenze del mondo hanno un significato che non coincide con il significato dell'essere; questa non coincidenza vuol dire la loro diversità dall'essere, e cioè che sono "non essere". Se allora l'amante o amico del mondo vuol dire: "il mondo è", egli deve anche dire: "Il niente è". La ragione dell'Occidente nasce qui, dall'esigenza di tener ferme le determinazioni - potremmo dire l'esigenza di non contraddirsi. Se si afferma che il mondo molteplice è, si afferma che il niente è. Allora abbiamo questa conclusione straordinaria: Parmenide, proprio per evitare che il niente sia, proprio per evitare di identificare l'essere al niente, afferma che le cose sono niente, che le differenze sono niente; se si afferma il mondo, se si è amici del mondo si sta nella pazzia che identifica l'essere e il niente.
A questo punto abbiamo gli elementi per rispondere alla Sua domanda. Il lógos, che costituisce il pensiero incontrovertibile perché si appoggia sulla tautologia dice appunto che il divenire non è, e che non esiste molteplicità. Qual è il significato di questa negazione? Vuol forse dire che Parmenide non vedeva il divenire e non vedeva la molteplicità? Sarebbe strano, avremmo a che fare con un qualche cosa che non appartiene alla nostra esperienza; noi vediamo il mondo, vediamo il divenire e la molteplicità delle cose e ne godiamo, perché senza di esse la nostra vita non avrebbe significato. L'Oriente dice invece che la nostra vera vita è al di là del molteplice e del divenire.
Parmenide invece dice che l'essere è immutabile e semplice - semplice vuol dire non molteplice e non differenziato; in questo caso l'apparire del mondo come diveniente è molteplice e non verità, cioè è illusione, è dóxa. Con una battuta direi che tutto il pensiero successivo, ma non solo filosofico, anche scientifico - e dico scientifico sapendo che questa affermazione può suonare paradossale - intende salvare il mondo da Parmenide, perché egli pone il mondo come non verità.